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NON DA SOLE. MATERNITY BLUES E DEPRESSIONE. UN PO' DI CHIAREZZA

Le molteplici declinazioni della famiglia contemporanea hanno in comune il ruolo di accoglienza della vita e di orientamento della stessa. Consideriamo dunque il legame familiare, di qualunque natura esso sia, come quella forza capace di far crescere un bambino e di introdurlo successivamente nel mondo sociale.

Una prima e fondamentale tappa della nascita è il tempo dell’attesa.

 In questo tempo cruciale il bambino viene immaginato dai genitori che gli preparano un posto, ancora prima del suo arrivo.

Si imbianca una stanza, si compra un corredo, si lavano delle tutine, si sceglie un nome e ci si chiede di colore avrà gli occhi, se i capelli saranno lisci o ricci o se erediterà  quella singolare curva espressiva del volto che si ritrova in famiglia.

Ciò fa della nascita non solo un evento biologico ma un fatto unico, un atto simbolico. Non si tratta tuttavia di un movimento che avviene sempre in maniera lineare, talvolta s’inciampa.

In questo passaggio è infatti frequente sperimentare sentimenti di indifferenza, fragilità e paura. Una madre può non riconoscersi in tale ruolo o può, semplicemente, fare molta fatica ad assumerlo. Si tratta di un tabù che a volte la società rigetta, amplificando il senso di solitudine e frustrazione delle coppie.

Proviamo a fare un po’ di chiarezza:

Si considera periodo perinatale il tempo che si estende dalla gravidanza fino al primo anno di vita del bambino.

Si tratta di un periodo molto delicato per la donna, il suo bambino e la coppia genitoriale; si stima che circa il 16% delle donne possa andare incontro a disturbi psicopatologici rientranti, in modo particolare, nella sfera umorale. A volte, accanto alla paure comunemente associate allo stato di gravidanza (preoccupazione per il proprio cambiamento corporeo, per lo stato di salute del feto, timore della responsabilità che il ruolo genitoriale comporta etc.), e ai sintomi fisici tipici del periodo, si possono sovrapporre altre manifestazioni di natura sia fisica che psichica, degne di maggior attenzione.

Secondo le linee guida nazionali vi sono dei fattori di rischio che rendono alcune donne più esposte a possibili condizioni psicopatologiche. In particolare la presenza di eventi traumatici nella propria storia soggettiva, il senso di solitudine per la mancanza di una rete parentale di supporto o, ancora, difficoltà nella gestazione, possono essere considerati fattori che espongono a una maggiore fragilità. Si tratta di situazioni a cui è difficile far fronte con le proprie risorse in un momento così delicato della vita anche se, da sole, non segnano il destino di una gravidanza.

Ogni donna ha la sua storia e ogni storia si compone di trame finemente intrecciate; a volte “ i nodi” possono essere appigli saldi a cui aggrapparsi, a volte invece hanno bisogno di essere sciolti.

Spesso vengono comunemente utilizzati dei termini tra cui è facile far confusione e, soprattutto, rischiano di stigmatizzare le donne in questo tempo della vita.

La Depressione Post Partum va distinta dal Maternity Blues, che si stima colpisca gran parte delle donne (circa 50%) e che si caratterizza per essere un evento transitorio e reversibile, destinato a risolversi spontaneamente entro 10 giorni dal parto. Parliamo di una “tristezza” che può manifestarsi in vari modi;  improvvise crisi di pianto ( labilità emotiva), un sentire sconsolato per la maggior parte del tempo ( deflessione timica), irritabilità ( disforia), ansia, insonnia. Tuttavia  la scienza indica questi “sintomi” come effetto della tempesta ormonale che il parto scatena e dunque destinati a estinguersi.

Ma cosa succede se questa tristezza non sembra volersene andare via? Dobbiamo parlare di depressione?

La depressione post partum è una patologia che può manifestarsi secondo diversi livelli di gravità. La valutazione deve essere fatta da uno specialista il quale indicherà la presa in carico più idonea. Molteplici sono i fattori da prendere in esame per tutelare il benessere della mamma e del suo bambino. Confidarsi nel proprio partner o in un amica fidata può essere la prima strategia per non rimanere da soli.

Silvia Vegetti Finzi, psicoanalista e autrice del testo “ L’ospite più atteso. Vivere e rivivere le emozioni della maternità (Einaudi 2017)” scrive: Noi donne siamo come delle matrioske russe: procediamo l’una dentro il corpo dell’altra. Questa sintonia perduta tra i corpi femminili va recuperata e valorizzata. La scrittrice ci suggerisce che il parlare tra donne di argomenti prossimi al femminile toccano un sapere antico;ricordano che argomenti come la gravidanza, il parto, l’allattamento e altri sono atti che appartengono alle donne e che, in un certo senso, tengono insieme il mondo.

Il grembo è quel luogo che ospita e contiene la vita

Perché il riferimento alle matrioske? Ognuno di noi, al di là del sesso biologico, ha sperimentato l’essere contenuto e curato dalle mani dell’altro. Da un grembo che contiene a delle mani che si prendono cura. Ecco il filo invisibile che lega ognuno di noi. Dunque, il tabù della gravidanza, può essere condiviso, con la parola e l’ascolto.

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